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Il Futuro della Fotografia, visto… dal futuro

 

 

Premessa

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(1984) una copertina d'epoca di Fotografare

Tanti anni fa, forse 40, leggevo spesso Fotografare, allora una delle riviste più diffuse ed influenti nell’ambiente della fotografia in Italia (la rivista ha chiuso per sempre a fine 2017, ora la testata è “rinata” ma credo non abbia più nulla a che vedere con quella storica). Oltre a pubblicità (tanta), recensioni e qualche rubrica fissa, ogni tanto compariva un articolo interessante. Uno di questi lo ricordo abbastanza bene (un vero peccato non averlo conservato): parlava del “futuro della fotografia”, o meglio di come allora lo si prevedeva. Ricordo che mi aveva stupito con la descrizione di alcune innovazioni tecniche che mi erano sembrate davvero sorprendenti, che avrebbero reso gli apparecchi fotografici ben diversi da quelli che conoscevo.


Ci ho ripensato qualche giorno fa, ed ho provato a vedere, dopo appunto circa 40 anni (che per "distanza" potrebbero davvero coincidere con l'idea che aveva quell’articolo di un “futuro” sufficientemente remoto) cosa di quelle previsioni si sia avverata e cosa no, e soprattutto cosa, invece, non era stata proprio prevista. Ecco il mio confronto, sperando di ricordare bene, dato che purtroppo di quell’articolo ho solo mantenuto il ricordo:

 

Era tutto hardware…

Tutte (ma proprio tutte) le migliorie si pensavano esclusivamente dovute a nuovo hardware, cioè al nascere o l’affinarsi di dispositivi fisicamente tangibili, magari basati su fenomeni implementati solo in qualche prototipo, o peggio conosciuti solo teoricamente, che avrebbero sostituito nelle loro funzioni quelli (le lenti, il diaframma, l’otturatore, la pellicola) che da sempre hanno caratterizzato tutta la fotografia.
Idea comprensibile, certo, ma a nessuno veniva in mente che la vera rivoluzione l’avrebbe fatta… il software, allora ancora relegato a fare calcoli matematici in qualche università o tenere le contabilità in irraggiungibili (e costosissimi) mainframe. Evidentemente l’idea che il software sarebbe diventato indispensabile e diffusissimo, avendo a disposizione dispositivi potentissimi nelle tasche di ognuno, era realmente futuribile, e probabilmente stava solo nella mente di pochi guru, se c’era… comunque, questi dispositivi erano davvero “futuribili”, e quasi nessuno si è realizzato, almeno finora:

 

  • Obiettivi: ancora oggi, come allora, sono costituiti da un complesso di lenti che compensano una i difetti dell’altra, e che nel loro insieme equivalgono ad una sola lente (teorica) di una certa focale, fissa o (se le lenti si muovono reciprocamente, in base a complessi calcoli ottici) regolabile all’interno di un certo range: gli zoom. Cosa è cambiato realmente, in questi 40 anni? Ben poco, secondo me: alcuni ora hanno lenti di plastica, ben più leggera del cristallo, mantenendo comunque un’ottima qualità. Gli zoom sono molto più diffusi e sono riusciti ad estendere il range (anche se non di molto, dopotutto), per cui sono ora disponibili obiettivi “tuttofare” che da soli coprono gran parte del range di focali normalmente necessari ad un fotografo medio (28-300mm in formato 24x36, ad esempio), funzionando sia da grandangolare che da tele. Alcuni di questi equipaggiano in modo fisso alcune fotocamere ibride fra le reflex e le compatte (le cosiddette “bridge”) e sono chiamati 10x, appunto perché la focale massima è dieci volte la minima.
    La vera rivoluzione in questo campo, però, non è tanto l’autofocus (utile ma veramente necessario soprattutto per i soggetti in movimento e realizzato ancora in hardware), quanto lo stabilizzatore, governato invece dal software. È questo che, compensando continuamente con rapidissimi micromovimenti del sensore o di alcune delle lenti dell’obiettivo gli spostamenti dell’apparecchio, riesce a far “guadagnare” alcuni stop (anche 3) e di fatto permette di usare i superzoom anche a mano libera. Non ricordo se questa funzionalità (di derivazione militare: le armi sono efficienti solo se non "ballano" durante la mira, quindi hanno studiato parecchio, in questo campo...) fosse nella lista delle caratteristiche delle macchine fotografiche del futuro, ma ricordo invece perfettamente a cosa pensasse l’autore a proposito degli "obiettivi del futuro", tutt'altro: addirittura a lenti controllate elettronicamente, cioè fatte con materiali in grado di variare l’indice di rifrazione in modo controllato, e comportarsi quindi in modo differente se attraversati dalla luce, pur mantenendo inalterato l'aspetto esterno. In pratica si sarebbe potuta usare una “scatola ottica” che passava dalle funzioni di grandangolare a quelle di tele in modo quasi istantaneo e senza alcun movimento visibile dall’esterno (tutti gli zoom esistenti, invece, si allungano al variare della focale). Naturalmente questa "scatola tuttofare" non avrebbe più richiesto quei concetti (che esistono tuttora) di "corpo macchina" e degli "obiettivi intercambiabili": quella da sola avrebbe saputo svolgere tutte le funzioni, da grandangolo, tele e zoom, per cui anche l'apparecchio fotografico più complesso avrebbe potuto essere "monolitico".
    Cosa ne è stato di quella visionaria previsione? Beh, assolutamente… nulla! Evidentemente il fenomeno alla base di questi “zoom elettronici”, anche se fisicamente dimostrato e provabile in laboratorio, non è di fatto utilizzabile per fini fotografici (non sono informato, ma potrebbe essere che le variazioni di indice di rifrazione ottenibili in pratica siano minime, o richiedano correnti impossibili da gestire su un apparecchio portatile, o semplicemente che siano troppo imprecise e primitive rispetto alla complessa progettazione ottica di un qualsiasi zoom odierno). Risultato: quel futuro… è rimasto ancora futuro, anche oggi.

  • Diaframma ed otturatore: questi dispositivi, il "cuore" del corpo macchina, ancora oggi meccanici come allora, regolano la quantità e la durata della luce che colpisce il sensore, e sono ovviamente fondamentali per la riuscita di ogni fotografia. Importanti sono la velocità di apertura (che permette dei “fermo immagine” spettacolari) e, anche se lo diamo per scontato, la perfetta impenetrabilità della luce quando non sono attivi. Invece è proprio questo che ha bloccato lo sviluppo di quello che si riteneva il futuro in questo campo: gli otturatori elettronici. In pratica, si pensava che certi materiali, che possono scurirsi o diventare trasparenti in funzione della corrente che li attraversa, potessero fornire tempi di reazione impensabili, dell’ordine del decimillesimo di secondo.
    Il fatto è che questi materiali ci sono eccome, da anni: sono gli LCD, i cosiddetti cristalli liquidi. Solo che… non si riesce né a farli diventare totalmente neri (in pratica, la luce passa comunque, anche se poca: in condizioni di non uso servirebbe comunque un “preotturatore meccanico”, o il sensore risulterebbe perennemente offuscato dal lento accumularsi di luce) né abbastanza trasparenti: nelle macchine fotografiche che conosciamo, una volta che l’otturatore è aperto, non c’è nulla fra il sensore e l’ottica che ha generato l’immagine, e quindi nulla che ne attenui l’intensità o che ne abbassi la definizione. Gli LCD, purtroppo, non hanno queste caratteristiche in quantità sufficiente per scopi fotografici, e… diaframmi ed otturatori meccanici continuano ad equipaggiare le macchine fotografiche anche oggi, anche se controllati dall’onnipresente software.

  • Pellicola: ecco, qui l’articolo ci aveva azzeccato, un sensore elettronico ed una memoria hanno davvero sostituito il gel chimico fotosensibile che durava dagli inizi della fotografia. Solo che… non aveva potuto pensare alle conseguenze: i pixel del sensore (che in pochi anni ha migliorato le sue prestazioni passando da foto digitali che erano poco più di un giocattolo agli attuali full-frame di oggi, grandi esattamente come la pellicola di allora ma con un’enorme potenziale in più) non vengono semplicemente scritti in fase di scatto e letti quando si salva l’immagine su una memoria di massa o la si stampa; quello certo, si fa, ma è il minimo.
    L’operazione imprevedibile per l’articolista degli anni ’70 era che questi milioni di pixel si potessero elaborare (e pure in un computer velocissimo, dal prezzo abbordabile e con metodi non così complicati da richiedere un professionista), ottenendo non solo tutto quello che si poteva modificare in una scomodissima e puzzolente camera oscura tramite pozioni chimiche segrete da negromante, ma molto di più!
    In sostanza, nessuno pensava a… Photoshop, che invece è stata una vera rivoluzione per la fotografia. Inoltre, le immagini stanno su memorie elettroniche che permettono di salvare senza alcuna scomodità migliaia di immagini ad altissima definizione, altro che le vecchie 36 pose delle pellicole standard, o addirittura le 12 delle professionali 6 x 6!

 

Cos'è stato in realtà, di quel "futuro"?

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Il complesso ottico dell'iPhone11Pro

Ho constatato che nella realtà le previsioni sul futuro sono quasi sempre sbagliate: nei libri di fantascienza di qualche anno fa (spesso scritti da esperti scienziati, non solo da visionari esaltati) si trova di tutto: teletrasporto, viaggi nel tempo, lettura del pensiero… niente di tutto questo si è avverato. Invece, nessuno aveva previsto Internet (o almeno nessuno ne aveva previsto l’ubiquità, la gratuità, la facilità di accesso e l’importanza), nessuno aveva previsto una fonte di informazioni smisurata e gratuita come Google (se non in modo sinistro, come in qualche romanzo distopico), nessuno aveva previsto gli smartphone che, diffusissimi, potentissimi e relativamente poco costosi hanno non solo cambiato l’idea dell’informatica, ma modificato le nostre stesse vite quotidiane.
Anche nella fotografia questo mio sospetto non è stato smentito: quello che non era stato previsto (il software) è invece decisivo, ed arriva… a tutto. Si parte dal controllo coordinato, preciso ed in tempo reale di tutti i microsistemi elettromeccanici dell’apparecchio, poi si passa a ricreare quello che i piccoli obiettivi degli smartphone non riescono fisicamente ad ottenere, come la ridotta profondità di campo che mette in rilievo il soggetto dallo sfondo.
Fin qui il software migliora l’hardware o sopperisce a suoi limiti. Ma poi va ben oltre: con opportuni algoritmi si può correlare l’informazione contenuta nei milioni di pixel del sensore, ottenendo (come sul recente Xiaomi Mi Note 10) un’incredibile riduzione del rumore e quindi una sensibilità alla luce anche debolissima, impensabile ai tempi della pellicola (si è passati da un massimo di 3200 ISO, misura della sensibilità del sensore, a valori che superano i 100.000 ISO). Oppure, fondendo le informazioni provenienti da mini-obiettivi diversi a focale fissa si riesce ad ottenere un solo “zoom software” (come sull’iPhone11 Pro), con l’immagine che ingrandisce progressivamente e senza alcun “salto” visibile, mentre in realtà arriva da sensori diversi.
Tutt’altro filone, invece, sono le prestazioni di image-processing in tempo reale, semplicemente fantascientifiche 40 anni fa: il riconoscimento facciale permette di scattare solo quando il soggetto è a fuoco, guarda in macchina o sorride, o addirittura di fondere varie foto scattate ad un gruppo di persone, ottenendone una sola dove tutti sorridono.

 

…invece oggi tutto è software

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Un complesso sistema di stabilizzazione d'immagine professionale, che agisce sia sulle lenti dell'obiettivo che sul sensore (Lumix S)

E queste sono tutte caratteristiche che si ottengono con il solo apparecchio fotografico. Ma il vero “futuro” della fotografia sta proprio nelle potentissime tecniche di image processing che si possono applicare a posteriori (e senza bisogno di conoscenze e formazione a livello professionale), dopo lo scatto: con Photoshop e gli altri programmi equivalenti si possono non solo applicare tecniche impensabili con la fotografia analogica (penso ad esempio al cosiddetto HDR – High Dynamic Range, che prende da più foto le sole parti meglio esposte, costruendo un’immagine, inesistente nella realtà, che rivela i molti dettagli che una foto “vera” avrebbe necessariamente mantenuto troppo scuri o troppo chiari; oppure alle “foto navigabili”, collage digitali di più immagini scattate tutto intorno ad un punto fisso, che danno la possibilità all’osservatore di “muovere lo sguardo” in tutte le direzioni, fornendogli una sensazione di presenza impossibile con le fotografie convenzionali).
La vera potenza del software è la capacità di stravolgere totalmente le immagini di partenza, creando, in modo quasi indistinguibile anche da un esperto, quelli che un tempo si chiamavano “fotomontaggi” (esistono su internet dei filmati che mostrano come, con l’aiuto del mouse e dell’interfaccia grafica, si possa migliorare la forma di un corpo, o modificare la forma di un viso, sbiancarne i denti, spianarne le rughe, aggiungere capelli ed arricchirne il volume. Per dimostrazione, la foto di una vecchia sdentata e rugosa è stata gradualmente trasformata nell’immagine di una bella signora. Ma senza queste esagerazioni, una ragazza già di per sé piacevole diventa una modella dalla perfezione irraggiungibile, anche perché... non esiste!). 
Di fatto, oggi con il software si modifica la realtà, tanto che “Photoshoppare” è oramai divenuto il termine gergale per indicare una falsificazione dell’immagine che si dà di una persona, con implicazioni anche sociali (come i modelli di estrema magrezza suggeriti alle ragazze, in realtà “solo” trucchi digitali applicati ad immagini molto più normali) e giuridiche (il semplice atto di produrre una fotografia non significa più affatto che questo basti a considerarla una prova: potrebbe sempre essere solo un abile trucco).

…e c’è troppa fretta di "consumare"!

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La "fruizione" delle foto al tempo degli smartphone: un attimo, e via!

C’è un futuro anche nell’uso, o meglio nel consumo che si fa della fotografia, e quello che stiamo vivendo oggi (che per l’articolista di Fotografare sarebbe stato "il futuro") a me... non piace: con il diffondersi del digitale prima e dell’onnipresente cellulare dopo, scattare una fotografia non costa più nulla, né dal punto di vista economico (una volta ci si pensava bene prima di premere il pulsante di scatto, doveva “valerne la pena”) né da quello dell’attenzione o della preparazione. Risultato: si fotografa (male) di tutto, compreso quel che proprio non meriterebbe alcuna attenzione: quello che si mangia, i propri piedi alla spiaggia, se stessi in ogni momento e luogo della giornata (il termine “selfie” è oramai di uso comune, così come comune è scattarselo: ho visto turisti molto più ansiosi di fotografarsi davanti al monumento che avevano di fronte che non  di visitarlo).
Al contrario, di fronte a questa valanga di immagini provenienti da ogni dove, cala il tempo che si può e si vuole dedicare ad ognuna (in pochi secondi mi si vogliono far vedere decine di immagini insulse sullo schermo dello smartphone: il tempo di farci scorrere il dito e passare alla prossima). E cala anche l’interesse verso la fotografia stessa, vista come forma estetica fine a se stessa: troppa fatica, troppa attenzione richiesta. I vecchi circoli fotografici chiudono: nessuno è più disposto a meditare di fronte ad un’immagine o studiare come produrla: anche la fotografia è diventata un bene di consumo usa-e-getta.

 (Ivan - 16/02/2020)

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