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La tecnica del Focus Stacking
Una vecchia macro La luce radente illumina grosse gocce di resina sul tronco di un ciliegio (soltanto la parte centrale dell'immagine è a fuoco e ben definita) |
Quando si pratica la macrofotografia, specialmente con ingrandimenti spinti, uno dei fattori più critici è la crescente riduzione della profondità di campo, che impedisce di ottenere fotografie interessanti se il soggetto ha un minimo di profondità: in pratica, viene quasi tutto sfocato, tranne una piccola (o addirittura piccolissima) "fetta" a fuoco.
Il fenomeno peggiora se bisogna aprire il diaframma, caso tipico della macro, perché attraverso l'obiettivo, allontanato dal corpo macchina dai tubi di prolunga o da un soffietto, passa molta meno luce. Ai tempi della fotografia tradizionale, a tutto questo non c'era rimedio (sono le leggi dell'ottica), se non usare il flash per poter chiudere al massimo il diaframma. Ma questo comportava complicati calcoli o procedimenti empirici per determinare l'esposizione (le tabelle fornite dal produttore del flash, a distanza ravvicinata, non sono più valide) ed arzigogolati supporti per sostenere il flash vicino al soggetto, senza però creare ombre o rimanere oscurato dal corpo stesso dell'obiettivo. Senza contare che la luce del flash è praticamente sempre innaturale e "gelida", con ombre nettissime. Tutto piuttosto scomodo ed esteticamente non eccellente.
Ai tempi della fotografia tradizionale, a tutto questo non c'era rimedio (sono le leggi dell'ottica), se non usare il flash per poter chiudere al massimo il diaframma. Ma questo comportava complicati calcoli o procedimenti empirici per determinare l'esposizione (le tabelle fornite dal produttore del flash, a distanza ravvicinata, non sono più valide) ed arzigogolati supporti per sostenere il flash vicino al soggetto, senza però creare ombre o rimanere oscurato dal corpo stesso dell'obiettivo. Senza contare che la luce del flash è praticamente sempre innaturale e "gelida", con ombre nettissime. Tutto piuttosto scomodo ed esteticamente poco apprezzabile.
Un esempio per chiarire il fenomeno
La Figura 1 mostra una fotografia macro eseguita con metodo tradizionale ad un piccolo oggetto, che ha al suo interno vari "piani" a diverse distanze dall'obiettivo. Sono solamente pochi mm di differenza (o anche meno), ma la resa della fotografia ne risente già moltissimo: il piano più superficiale è perfettamente a fuoco, mentre quello intermedio e soprattutto il più profondo sono sfuocati. Il risultato non è certo ottimale.
Un primo aiuto, utile ma non definitivo, lo ha portato il Flash TTL, che funziona però solo se viene accoppiato ad una fotocamera compatibile (tipicamente dello stesso produttore): questa trascura il segnale proveniente dai sensori per la misurazione ed il controllo della luce emessa montati sul flash, ed usa invece i suoi stessi sensori, posti dietro l'obiettivo (TTL = "Through The Lens"): in questo modo, qualunque sia l'obiettivo o la configurazione ottica montata sulla macchina, i suoi sensori interni eseguiranno sempre una misura a valle, immediatamente prima della pellicola (quando è stato inventato, negli anni '80; oggi, del sensore) per cui non serviranno più tabelle di qualsiasi genere: la macchina determinerà la quantità di luce necessaria in moto totalmente automatico.
Tutto bello ed utile, ma... non molto più che palliativi: la profondità di campo restava sempre quella: poca. Finché è arrivato il digitale, che ha reso possibile applicare alle immagini digitalizzate complesse tecniche di image processing, che hanno... aggirato le leggi dell'ottica, grazie a calcoli di correlazione applicati a gruppi di immagini permettendo di "fonderle", per crearne un'altra, altrimenti non ottenibile usando i metodi fotografici tradizionali. Nel caso della macrofotografia, la tecnica applicata si chiama Focus Stacking (letteralmente "impilamento [di aree] a fuoco").
La tecnica del Focus Stacking
L'algoritmo che sta dietro a questa procedura esamina un intero gruppo di immagini, riprese dallo stesso punto e allo stesso soggetto, ma il cui punto di messa a fuoco è stato gradatamente spostato dal fotografo da un estremo all'altro del soggetto stesso. A questo punto esegue le seguenti operazioni:
- Allineamento delle immagini: identificata la forma principale del soggetto, ne individua i bordi e li fa coincidere per tutte le immagini, se necessario spostandole o scalandole (se la fotocamera è stata spostata sensibilmente lungo l'asse dell'obiettivo il soggetto risulterà di dimensioni leggermente diverse in ogni fotogramma)
- Equalizzazione di contrasto e luminosità: se è necessario, esegue questa operazione in modo che tutte le immagini risultino uniformi
- Selezione delle aree "a fuoco": una volta divisa l'immagine in molte aree, in ognuna di queste calcola in successione, per tutte le immagini considerate, una misura delle variazioni di colore e di distribuzione dei pixel (nell'ipotesi che: maggiore variazione => maggior definizione => miglior messa a fuoco) e per ogni area seleziona i migliori valori disponibili fra tutte le immagini a disposizione.
- Eliminazione delle zone sfocate: mediante un procedimento di mascheratura, per ogni immagine del gruppo (lo "stack") elimina tutte le aree dove esistono migliori valori, e mantiene invece solo quelle dove i valori sono i migliori fra quelli a disposizione.
- Ricostruzione dell'immagine: affianca tutte le aree migliori creando un'immagine completa con quanto di meglio sia a disposizione in ogni area
- Fusione delle aree utili: crea l'immagine finale uniformando ancora colori, contrasto e definizione
Il risultato è, appunto, un'immagine tutta a fuoco, altrimenti non ottenibile.
Esempio dell'algoritmo di selezione e fusione delle aree a fuoco
Pregi
Un altro esempio per chiarire efficacemente l'efficacia del Focus Stacking: a destra il risultato finale dopo la fusione di 18 immagini, a sinistra, per confronto, una delle tante "fette" elementari.
Figura 6 l'immagine elementare n° 6 (su 18) |
Figura 7 l'immagine finale (fusione di tutto il gruppo) |
Difetti...
Non tutto è perfetto, ovviamente. Anche questa tecnica ha dei limiti:
- Obbligo d'uso del cavalletto: dovendo generare una serie di immagini che differiscono solo per la messa a fuoco, la macchina deve rimanere immobile, cosa che ovviamente richiede un cavalletto. Questo limita le possibilità d'uso del Focus Stacking agli oggetti statici (quindi, niente immagini di insetti vivi, ad esempio).
- Tempi di produzione dell'immagine: dovendo preparare una serie di immagini e poi darla in input al programma di elaborazione delle immagini, è necessario parecchio tempo a disposizione, nonché una pianificazione delle operazioni da compiere: una fotografia così non può certo essere definita "istantanea", né sarà semplice eseguirla all'aperto.
...e migliorie
Le più recenti fotocamere digitali di gamma medio-alta, sia reflex che mirrorless (ad esempio la Olympus OM D EM-5 mK III) integrano già di una funzionalità di questo tipo nel software di gestione della fotocamera: è possibile che questi difetti, almeno in parte, siano molto meno rilevanti rispetto all'esecuzione separata in una fase successiva a quella della ripresa. Sicuramente il processo può essere in gran parte automatizzato, eliminando molte operazioni manuali e quindi impiegando un tempo molto minore.
(Ivan – 14/05/2020)
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