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La macchina di papà: 

Yashica Lynx 1000

(1959-60)

 

Premessa

La “macchina di papà”… non c’è più, e per colpa mia: anni fa, con un collega curioso quanto me di meccanica fine, l’ho smontata per vedere se sarebbe stato possibile risistemare l’esposimetro che non funzionava più, anzi, che io non ho mai visto funzionare (ora so perché: le celle al Selenio di quei primi dispositivi si esaurivano col tempo; io invece cercavo un’inesistente “pila” da sostituire…). Nonostante vari nostri tentativi congiunti non fummo più in grado di rimetterla a posto, e finii per doverla buttare. Allora non mi era spiaciuto granché, oggi invece non mi arrenderei così facilmente.

Le foto qui di seguito quindi non sono quelle della macchina di famiglia, ma di una fotocamera assolutamente identica, trovata su un sito di aste online. In realtà, oltre al marchio non ne ricordavo nemmeno più il modello, ma è bastato digitare su Google “Yashica telemetro” per ritrovarmela davanti, riconoscerla immediatamente ed arrivare quindi a tutti i suoi dati.

 

Nei miei ricordi

1970Thumb
Io a 3 anni - 1963
1970Thumb

La mia famiglia - 1970

Due delle tante foto scattate con la Yashica Lynx, passando dal B/N al colore

La Yashica l’ho sempre vista, anzi… era lei fotografava me già ben prima che io mi potessi rendere conto di cosa fosse una macchina fotografica: esistono mie foto in fasce (letteralmente…) e dato che dai miei non ho mai sentito parlare di altre macchine in casa, devo dedurre che questa fotocamera fosse già in mano a mio padre alla fine del 1959 (nonostante che sui siti di storia della fotografia sia riportato il 1960 come anno d’uscita del modello). Però so che proveniva direttamente dal Giappone, portata da mio zio imbarcato come ufficiale sulle petroliere, che passò molto tempo da quelle parti.

Ricordo perfettamente la custodia rigida in cuoio marrone, apribile in due parti, che ci accompagnava in tutte le gite, con dentro quel foglietto scritto a mano, piegato ed incastrato nella parte più profonda intorno all’obiettivo, con i valori tempo/diaframma da impostare.
Il foglietto contemplava solo quattro casi: sole pieno, sole velato, nuvoloso, controluce. Erano, ridotti all’osso, i “consigli” dati a mio padre da un suo amico fotografo. Ripensandoci oggi, forse già allora l’esposimetro non funzionava più ed il fotografo, capendone l’utilizzo limitato che ne faceva mio padre (solo le foto di famiglia) gli aveva suggerito un metodo molto empirico, ma più che sufficiente per i pochi casi che lo interessavano. In questo campo, mio padre era giudicato “bravissimo”: in realtà, visto che nozioni di tecnica fotografica proprio non ne possedeva, aveva probabilmente un buon istinto nel comporre l’immagine.

Ricordo anche che non avevo mai visto la macchina “nuda”, staccata dalla sua custodia (essendo le “difficili” operazioni di estrazione della pellicola esposta, e caricamento della successiva, demandate all’amico, nel suo negozio. Noi bambini vedevamo solo l’obiettivo e la parte superiore, che sporgevano dopo aver sollevato e rovesciato il coperchio): quando iniziai, quasi diciottenne, ad interessarmi autonomamente alla fotografia, la estrassi finalmente dal suo “guscio” di cuoio, e mi sembrò subito molto più professionale, con tutto quel nero/alluminio, rispetto al look “da turista” che avevo sempre visto.

Poi per mio padre, con noi figli oramai cresciuti, le occasioni fotografiche si diradarono fino a scomparire, anche perché il suo approccio totalmente naïf forse lo faceva sentire inadeguato rispetto a me, che iniziavo a possedere ed usare una reflex. Così la Yashica finì in fondo ad un cassetto: io non vedevo motivi per usare anche una macchina a telemetro con obiettivo fisso, forse perché tenere in mano una reflex mi faceva sentire “importante” (ache se probabilmente ce ne sarebbero stati: ad esempio, l'otturatore della Yashica era silenziosissimo, non essendoci specchi da sollevare, molto più di quello della già silenziosa Olympus). E lì rimase per anni dopo la morte di mio padre, finché io non la smontai irreparabilmente. Peccato.

 

Storia

(elaborata sintetizzando le seguenti fonti)

Questa macchina, uscita nel 1960, inaugurò la lunga serie delle “Lynx” (lince), che fu prodotta fino alla fine di quel decennio, ma con caratteristiche che vennero gradatamente modificate nei successivi modelli.

Dal punto di vista costruttivo era piuttosto grossa e pesante, ma ergonomicamente ben disposta e comoda nell'utilizzo.

Tecnicamente era una fotocamera a telemetro in formato 35mm ad obiettivo fisso, uno Yashinon da 45mm di focale e diaframma f/2.8, con la lente frontale trattata contro i riflessi. La caratteristica principale era l’ambizioso otturatore COPAL-SV, che arrivava al rapidissimo tempo di scatto (per quell'epoca) di 1/1000 sec., e che dava il nome alla macchina. L’otturatore, del tipo centrale a lamelle metalliche, essendo la macchina ad ottica fissa era sistemato fra i gruppi di lenti (6 in totale) dell'obiettivo ed era particolarmente silenzioso.

L’esposimetro, autoalimentato, era al Selenio, e dava indicazioni sia in una finestrella sulla parte superiore (tramite un ago mobile), sia nel mirino (appena visibile). Sempre nel mirino, come in gran parte delle macchine a telemetro, era visibile un’immagine sdoppiata che si ricomponeva alla principale quando l’obiettivo era a fuoco.

ManualeYashica

 

Manuale di istruzioni

Questa a fianco è la copertina del manuale originale (in lingua inglese - cliccare per scaricare il documento).

 

 

Immagini

Come ho già scritto, purtroppo non ho più l'originale, che era comunque identico all'apparecchio ritratto in queste immagini

  

FrontWithLens FrontWithCap CaseOpen BackOpen  
Vista frontale Montata nella custodia aperta Estratta dalla custodia Il dorso aperto
         
CaseLeather Top Bottom Back
La custodia in cuoio, chiusa Vista dall'alto Vista dal basso Il dorso chiuso ed il mirino a telemetro

 

 

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IvanEditor

 

      (Ivan – 14/05/2020)


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